Qual è il lavoro di un architetto? Che si tratti di un edificio, di una sedia oppure di uno spazio ufficio, l’architetto immagina il futuro. Lo fa quando concepisce con la fantasia in che modo l’elemento fisico, che prima disegna, entri in comunicazione con il suo utilizzatore.
Ai tempi del Coronavirus alcuni parametri sociali sono cambiati e continuano a variare giorno per giorno, uno di questi è senza dubbio ciò che abbiamo imparato a conoscere con il termine di “distanza sociale”.
A ben vedere gli esperti dell’OMS parlano di distanza sociale intendendo però la distanza fisica, il concetto ovviamente non è analogo. Quando si rimane a uno o due metri di distanza dagli altri, per evitare il contagio, non significa automaticamente che si riduca l’interazione sociale ma solo che c’è più spazio fra due corpi.
Cambierà il comportamento umano?
Qualsiasi evento di portata mondiale cambia il nostro modo di vivere. Pensiamo all’11 settembre, nelle prime settimane nessuno prendeva l’aereo, col passare del tempo si sono studiate le precauzioni del caso e abbiamo continuato a volare. Il mondo è cambiato e ci siamo adeguati.
Oggi la pandemia sta cambiando il modo di relazionarci e di lavorare, anche in questo caso bisogna riprogettare lo spazio fisico e raggiungere un nuovo equilibrio. Fino a qualche tempo fa un architetto, per riprogettare un nuovo piano uffici, sapeva che doveva prevedere di destinare al singolo utente circa 10 mq. Allo stesso tempo sapeva che la distanza media tra un individuo e l’altro era di circa 1 metro e mezzo (da 1,2 fino a 2,1 mt), tutto ciò grazie alle leggi del quadro prossemico definite anche dalla teoria di Hall.
Oggi, alla luce di tutti i cambiamenti imposti dal Covid-19, come continuerà il lavoro e la condivisione, in breve come muterà il co-living, co-working e co-making?
Se prima bisognava scomodare gli psicologi per conoscere a quale distanza ottimale rimanere per godere del benessere personale e non sentirsi aggrediti socialmente, oggi gli spazi comuni dovranno riuscire a riprodurre lo stesso benessere fisico e psicologico di un tempo, sapendo che non si tratta più di distanza minima da non oltrepassare ma di distanza massima oltre la quale l’interazione non crea più il beneficio sociale della condivisione.
Alla base di queste necessità c’è il senso di comunità sociale, di aggregazione che ha un elemento, la distanza fisica, più sfocato rispetto a prima.
La ricerca di condivisione ci ha portato a vivere la comunità dai balconi, cerchiamo il coinvolgimento e l’inclusione attraverso i social network che stanno assumendo una connotazione più fisica. E’ diventato più labile il confine tra materiale e immateriale, dobbiamo esplorare queste tendenze per riprogettare gli spazi comuni?
Quando un architetto immagina uno spazio comune, non fa altro che cercare un modo per favorire l’interazione sociale. Il fondamento su cui si basa è la quantità di spazio a disposizione di ognuno. Stando a quanto oggi conosciamo, come dovrebbe risolvere il dilemma del distanziamento fisico imposto dalla pandemia?
I cinesi sono i primi ad aver riaperto le città alle persone, sembra proprio che la loro risposta sia netta: evitare che le persone si aggreghino. I percorsi pedonali vengono divisi, le aree della città sono modellate da grandi separatori, negli uffici appaiono divisori e linee di demarcazione. E’ solo una prima reazione, non certo una vera soluzione che tenga conto del benessere psicologico.
Queste soluzioni hanno infatti la caratteristica della necessità ma non possono essere definitive poiché sono mancanti di un elemento necessario che scopriremo alla fine.
Ciò nonostante emergono dei tratti che potrebbero significativamente influenzare il lavoro dell’architetto:
- Le corsie dinamiche
- L’uso diffuso della tecnologia
- Gli accessi alle aree, secondo flussi
L’impegno di un Designer
Nella mente di tutti scorrono immagini di strade vuote, piazze un tempo gremite oggi appaiono nude. I grandi palazzi simmetrici e ordinati costituivano la cornice umana fatta di scambi veloci e produttivi, il cosiddetto fiume umano.
La nostra identità comune corrispondeva ai luoghi urbani vissuti e consumati, la sensazione che avvertiamo oggi è quella di essere stati spogliati di una parte di noi stessi. Qualsiasi elemento architettonico porta con sé un lato intangibile, è il suo valore simbolico che a ben vedere è persino superiore alla mera fisicità.
Lo spazio vuoto oggi rappresenta la nostra ansia poiché non c’è nulla che la contrasti, per questo motivo abbiamo bisogno di creare nuovi spazi, dove la bellezza e l’utilità siano ridefinite.
E’ ciò che penso, ripartire per evolvere, adeguarsi alla situazione senza dimenticare che desideriamo che ciò che è intorno a noi sia certamente sicuro ma anche bello, è una necessità umana che caratterizza la nostra specie.
In tutto ciò sta la nostra Responsabilità.