Esiste un ramo della psicologia che si occupa di Space office. Suona un po’ strano il connubio tra architetti e responsabili di grandi aziende con gli psicologi per risolvere problemi di lay-out di ufficio.
Le Corbusier diceva che la casa è come una macchina per vivere, sembra allora evidente il paragone con l’ufficio che possiamo definire come una macchina per lavorare. Il punto di incontro lo troviamo nella volontà di creare dei luoghi di lavoro di successo attraverso la comprensione delle esigenze e del comportamento delle persone che utilizzano l’ufficio.
Questa epoca è segnata da una estrema fluidità che si avverte in ogni settore. La modalità di svolgimento del lavoro è cambiata, l’evoluzione è continua e spinge il design dello space office a rincorrere continuamente la natura mutevole del lavoro.
Un edificio destinato ad ospitare gli uffici di un’azienda, deve accogliere concetti variegati come:
- Flessibilità e virtualizzazione del posto di lavoro
- Globalizzazione
- Fusione tra diverse culture
- Mentalità di concepire lo spazio ufficio in evoluzione
La psicologia ambientale può quindi aiutarci a capire come vengono utilizzati gli uffici per migliorare il rapporto che lega le persone all’ambiente. Per far ciò ci rivolgeremo ad alcuni tra gli innumerevoli studi e teorie che nel tempo hanno esplorato come reagiscono le persone in un ambiente lavorativo, tenendo ben presenti i concetti di:
- Esigenze umane di base
- Motivazione
- Esperienze pregresse
- Aspettative
- Orientamento della personalità
Ti propongo un approccio diverso per progettare lo space office che non parta dal presupposto della creatività del suo creatore, e nemmeno dalle mode o dalle tendenze estetiche.
Lo Space office deve tenere conto delle diverse personalità?
Nel 1967 Eysenck ha classificato le persone in introverse ed estroverse (semplifico molto il concetto). Le prime sono coloro che preferiscono passare più tempo in attività solitarie, concentrandosi su un singolo compito alla volta. Le seconde invece amano socializzare ma si distraggono con facilità quando lavorano da sole. Questa semplificazione implica che le persone che lavorano nello stesso ambiente lavorativo, lo percepiscano in maniera differente.
le persone che lavorano in uno stesso ambiente lavorativo, lo percepiscano in maniera differente
A mitigare questa visione c’è la realtà dei fatti, ogni individuo possiede dei tratti di introversione come anche di estroversione. Altri fattori come l’umore, il tipo di compito da svolgere determinano la reale percezione di un ambiente in modo più o meno adeguato.
Secondo Rotter (famoso per la teoria denominata Locus of control), gli individui attribuiscono ciò che succede a cause dominabili attraverso il proprio comportamento (interni), oppure dipendenti dal fato (esterni). Da ciò derivano delle conseguenze se consideriamo queste persone in uno Space office.
Le persone interne non necessitano di supervisione poiché dispongono di una buona dose di auto-motivazione. Gli interni sono quindi adatti a svolgere il lavoro in maniera flessibile visto che sono in grado di programmarsi. Gli esterni invece hanno bisogno di luoghi ove ci sia contatto visivo per poter ricevere input.
I tratti della personalità non sono mai stati presi in considerazione da chi progetta spazi per ufficio, è infatti molto difficile tenere conto di tali varietà di percezione. Come vedremo alla fine, probabilmente una buona regola consiste nel progettare spazi di lavoro flessibili.
Lo space office deve stimolare l’individuo?
La progettazione di uffici prende in considerazione diversi aspetti, tra questi ultimamente ha fatto molta strada la componente “stimolazione” dettata dalla constatazione che i nostri sensi si attivano o si assopiscono in funzione della luce, dei colori, della vista, delle forme, della temperatura, della presenza di indicatori e segnalatori ed infine della vegetazione.
La psicologia ci può venire in soccorso tramite le teorie motivazionali. Nel 1908 due psicologi di Havard, Yerkes-Dodson proposero la legge omonima che esprime un andamento crescente tra l’attivazione (mentale e fisiologica) e la prestazione, ma solo fino ad un certo punto, dopo subentra lo stress che causa una diminuzione della prestazione. Dal punto di vista grafico dobbiamo immaginarci una U rovesciata, sebbene il suo andamento specifico sia influenzato dal tipo di compito più o meno complesso da eseguire.
Progettare ambienti stimolanti per incrementare le prestazioni ha quindi una ragione d’essere, come pure mantenere un limite per non esagerare ed ottenere un effetto contrario.
Se torniamo all’esempio degli estroversi e degli introversi sembra chiaro che i secondi potrebbero non essere molto contenti di lavorare in un ambiente che li angoscia.
La differenza di attivazione, e quindi di auto-stimolazione, tra compiti semplici e complessi ci offre una chiave di lettura che questa volta può ben essere utilizzata per progettare space office ad alte prestazioni.
Progettare ambienti stimolanti per incrementare le prestazioni ha una ragione d’essere, come pure mantenere un limite per non esagerare ed ottenere un effetto contrario
Lo space office deve stimolare l’individuo?
Un compito complesso è di per sé già stimolante, l’ambiente quindi non deve incrementare il livello di eccitazione, al contrario ci sarà bisogno di silenzio. I lavori ripetitivi invece hanno bisogno di ambienti stimolanti ricchi di spunti per favorire l’attivazione.
Facendo un sunto si può dire che un estroverso che fa un lavoro ripetitivo sarebbe meglio lavorasse in un ambiente stimolante, al contrario di un introverso che deve svolgere compiti difficili.
Progettare uffici che si preoccupano della psicologia
La sfida del designer moderno è quella di ridurre la distrazione e di favorire l’interazione. Si può quindi seguire un iter logico che tenga conto di diversi fattori contemporaneamente.
Per far ciò il progettista e il responsabile aziendale devono collaborare per:
- Destinare lo spazio di lavoro a gruppi di lavoratori omogenei per difficoltà di mansione;
- Inserire le aree di distrazione (sale di brainstorming, aree di svago ecc.) lontane dagli uffici destinati a lavori complessi e che necessitano di concentrazione;
- Consentire l’isolamento acustico ad esempio mediante utilizzo di cuffiette;
- Gestire le aree di co-working e tenere in considerazione la rotazione dello smart working.
Psicologia ambientale e Space office
Questi argomenti appassionano perché hanno dei risvolti pratici nella progettazione dello spazio lavorativo. Per mia fortuna non devo passare i miei week end a leggere libri su libri, che tra l’altro sono per addetti ai lavori, quindi probabilmente finirei per lasciarli sul comodino. Il mio fornitore di psicologia ambientale è mia moglie, ho una grande fortuna perché non si limita solo a darmi i testi, ma me li spiega, ho solo il compito di ascoltare e fare domande.
In una delle nostre chiacchierate mi ha colpito la teoria del campo di Lewin (1943). La sua formula C= f(PA), afferma che il comportamento C di un individuo è da mettere in relazione con lo spazio vitale (delle altre persone) e all’ambiente. Il campo è dato dall’insieme di forze, relazioni, tensioni e processi, che hanno come centro del campo l’individuo.
L’interazione con lo spazio è influenzato dalle aspettative e dalle esperienze individuali
Pur trovandosi nello stesso ambiente più dipendenti percepiscono in maniera differente lo spazio ma manterranno univoco il proprio comportamento apparente.
A questo punto non si può non tenere conto del concetto di territorialità e di privacy. Hall’s nel 1963 ha fatto una stima della distanza minima che ci deve essere tra le persone, il range è 1,2 e 2,1 metri. Il Quadro Prossemico esprime un concetto sociale di spazio di sicurezza che ognuno di noi avverte quando interagiamo col prossimo. A che distanza sono poste le sedie in una sala riunioni? E le scrivanie? Gli spazi dedicati al break offrono la possibilità di interagire rispettando lo spazio minimo?
Altre ricerche hanno messo in evidenza come la luce giochi un fattore determinante nella percezione di affollamento di uno spazio. Maggiore è la luce minore è la sensazione di subire la vicinanza altrui.
L’adattamento allo spazio secondo le teorie evoluzioniste
La psicologia evoluzionista è recente, si parla di anni ’90. L’Homo Sapiens ha subito un processo di adattamento all’ambiente lungo 400 mila anni, ma è solo da 100 anni che ha imparato a vivere gran parte della giornata in un ufficio.Partendo da questo assunto si pensa che la nostra psicologia sia più adatta agli spazi aperti come può essere la savana piuttosto che negli edifici compartimentati. Da ciò ha preso spunto la Biofilia (ne ha parlato per primo Wilson nel 1984), l’uomo cerca aggregazione quando condivide la socialità e la divisione del cibo, mentre si ritira in luoghi privati quando vuole rilassarsi.
Le persone quindi cercano altre persone per senso di appartenenza ad un gruppo, la comunità. Oltre a ciò l’uomo è curioso ed ha bisogno di variare e spaziare.
Se traduciamo tutto ciò in indicazioni da fornire ad un designer di uffici occorrerà tenere conto dei seguenti aspetti:
- Luoghi di aggregazione per il cibo e l’acqua
- Ambiente vario con possibilità di movimento ed esplorazione
- Spazi di recupero per concentrarsi
- Luce naturale e vista che deve spaziare in molte direzioni
- Temperatura e clima il più possibile naturale
- Fruizione paritaria degli spazi
Un altro spunto interessante lo offre il famoso numero di Dunbar (1993). Qual è il numero massimo di persone che possono far parte di un gruppo sociale? L’antropologo britannico ha compiuto svariati studi fino a determinare in 150 persone l’ampiezza massima di una community. Il limite è dovuto alle capacità cognitive dell’essere umano, misurate dalla dimensione della neocorteccia.
E’ curioso come questo numero sia quello medio delle community su Facebook ad esempio.
Lo Space office può avvantaggiarsi di questa indicazione valutando quanti dipendenti far convivere per piano, nelle grandi organizzazioni.
Conclusioni
Queste indicazioni sono solo un breve sunto di tutto ciò che può offrire la psicologia ambientale all’architetto e di conseguenza al responsabile aziendale.
L’attenzione a sviluppare spazi funzionali e adeguati allo svolgimento dell’attività lavorativa deve passare anche dal modo che ha l’essere umano di percepire l’ambiente che lo circonda. Il progettista se ne avvantaggia quando riesce ad interpretare il singolo caso.
La flessibilità sembra il migliore metodo per dar ad una comunità la possibilità di trovare la maniera più efficace di collaborare e far si che l’unione sia veramente la forza.
L’attenzione a sviluppare spazi funzionali e adeguati allo svolgimento dell’attività lavorativa deve passare anche dal modo che ha l’essere umano di percepire l’ambiente che lo circonda